Situato all’interno dell’Hospital Real de Santo António della città di Porto, in Portogallo, il piccolo Museo della Farmacia fa parte di un ampio progetto museale sulla scienza della salute, il Museu do Centro Hospitalar do Porto.
In vacanza a Porto, a causa di una caduta per la strada, mi sono ritrovata al pronto soccorso per una radiografia e ho dovuto per forza di cose cambiare un po’ i miei programmi iniziali. Addio alle lunghe passeggiate sulla spiaggia e ai saliscendi sulle colline della città, tra barocco portoghese e azulejos in ceramica.
Influenzata forse dai miei fatti personali, e desiderosa di guarigione, ho scovato allora questo piccolo museo un po’ nascosto. Due sole stanze (per 1 solo euro d’ingresso) custodiscono molti oggetti curiosi che danno un’idea di come la storia della farmacia sia indissolubilmente legata all’evoluzione della medicina.
La missione di questo museo è non soltanto la salvaguardia dei numerosi strumenti diagnostici e chirurgici dei secoli XIX e XX, ma anche la memoria dell’istituzione, la testimonianza delle tecniche mediche in differenti epoche e la relazione della medicina con le altre scienze.
La vendita al pubblico (la “Botica”)
La prima stanza era la farmacia vera e propria, aperta al pubblico. Conserva ancora i rimedi nelle bottiglie di vetro, dentro gli scaffali, e il mobilio di fine Ottocento.
Si trovano anche oggetti più recenti.
Mi ha incuriosito un medicinale a base di bismuto, un metallo simile all’arsenico… a cosa serviva? A trattare la diarrea e altri problemi intestinali. Prima dell’avvento degli antibiotici e dei corticosteroidi aveva anche una grande importanza come antisifilitico, antiacido gastrico e protettore delle mucose. Oggi può essere prescritto contro l’ulcera. Un uso prolungato provoca però una specie di avvelenamento, con disturbi renali e labbra e feci che si tingono di nero.
Il laboratorio farmaceutico (la “Farmácia”)
Nella seconda stanza, a partire dal 1884, si producevano droghe in diverse forme farmaceutiche. Destinate alla cura delle malattie infettive, furono utilizzate durante le epidemie degli anni successivi.
Sulle etichette si legge: valeriana, cumino, salsapariglia, canfora, incenso, gomma arabica. Ma anche prodotti misteriosi come lo spermaceti, sostanza cerosa estratta dal capo di alcuni cetacei e utilizzata all’epoca come eccipiente.
Come strumenti per la confezione dei medicinali troviamo una pompa a vuoto. Sembra servisse a liofilizzare i componenti del farmaco.
Per le compresse si era ancora lontani dalla produzione industriale automatizzata. Si procedeva a mano.
Farmacia oggi
Ma com’è oggi una farmacia? A prima vista si direbbe soprattutto un luogo di vendita, non solo di medicinali ma di prodotti svariati anche molto lontani dall’ambito della salute. Sembra rimasto poco dell’aspetto scientifico del passato. Ci si può chiedere se la cultura farmaceutica non abbia lasciato il posto all’aspetto puramente commerciale.
Ciononostante, quello che non sembra essere cambiato è il rapporto di fiducia che si instaura tra cliente e farmacista. Soprattutto nelle piccole farmacie di quartiere, il farmacista rappresenta un punto di riferimento fino ad assumere un ruolo sociale: dà indicazioni su procedure burocratiche, legge lettere a chi non sa leggere (sì sì, esiste ancora chi non sa leggere). D’altronde questo rapporto umano, questa cieca fiducia a volte ingiustificata, sono gli aspetti che motivano le persone dietro al bancone, per le quali il complimento più bello è (frase veramente indirizzata a Michela, la mia amica farmacista): “Tutto quello che mi dai funziona”.
P.S. per chi capisce un po’ di francese, consiglio il sito divertente di un farmacista canadese, le Pharmachien (chien=cane). Con disegni e grafiche irriverenti, il “farmacane” prende in giro certe categorie di clienti, certe attitudini dei farmacisti e soprattutto attacca le pseudoscienze…vi dico solo che il sottotitolo del sito è “Opinioni sensibili, astenersi”!
Per saperne di più
Sito ufficiale del museo (in portoghese)
Progetto multimediale della facoltà di Farmacia dell’Università La Sapienza di Roma
ho sentito parlare di bismuto da mia mamma e da mia nonna ma in tono scherzoso, come di una cosa di cui si è conservato il ricordo dell’uso ma che è ormai solo un modo di dire, come, sempre mia nonna, quando qualcuno non dormiva, suggeriva sempre per scherzo di dare del papavero