Isola di Lampedusa. Meta di vacanze ma anche luogo di recuperi di migranti e cronache del telegiornale. La rotta migratoria della tartaruga marina Caretta caretta passa di qua. E quando questa rotta si imbatte in un peschereccio e la tartaruga si ferisce, c’è il Centro di recupero per tartarughe.
Daniela Freggi, biologa, ha allestito una ventina di anni fa un centro di soccorso e cura per tartarughe marine patrocinato da WWF Italia. Ha creduto in questo progetto e per seguirlo ha modificato in maniera radicale la sua vita installandosi in quest’isola con un perimetro di soli 40 Km. Ancora oggi lavora gratuitamente al centro e si mantiene facendo l’insegnante nella scuola locale. Molte altre persone, con il loro impegno e attraverso un duro lavoro, hanno contribuito alla realizzazione del centro. Qualche domanda per saperne di più.
Da quanto tempo esiste il centro e quali sono le sue priorità?
Il centro esiste dal 1990. La priorità assoluta è il recupero delle tartarughe marine. Le attività principali sono quelle di recupero di animali feriti, impigliati nelle reti dei pescatori o allamate (che cioè hanno ingoiato ami). Grazie alla presenza di vasche di stabulazione, di un ambulatorio veterinario con sala operatoria e al lavoro di un’equipe di veterinari, gli animali vengono curati e liberati nuovamente in mare.
Oltre al recupero svolgiamo azioni di conservazione per la salvaguardia della specie, ad esempio la protezione dei siti di nidificazione. Tra i compiti che ci proponiamo c’è anche la sensibilizzazione. D’estate il centro apre ai turisti che possono osservare le attività e visitare un piccolo museo.
Può descrivere brevemente la biologia e l’ecologia della tartaruga di mare Caretta caretta?
Vive nel Mediterraneo e negli oceani Indiano, Pacifico e Atlantico, nella fascia temperata compresa tra i due tropici. Frequenta soprattutto le fasce litorali ma si può spostare in mare aperto fino a grandi distanze e discrete profondità. La sua dieta è onnivora: si nutre di alghe, di invertebrati marini come meduse, calamari, seppie e può cacciare anche alcuni pesci poco veloci. Dopo la riproduzione le femmine vanno a deporre le uova di forma sferica sulla spiaggia, all’interno di una buca scavata con le pinne posteriori. Per le nostre conoscenze attuali possiamo dire che questo animale trascorre la maggior parte del tempo immerso in cerca di cibo, venendo a galla di tanto in tanto per respirare.
Sono ancora molti i misteri sulla vita di questi affascinanti animali, per esempio come fanno le femmine a ritrovare la spiaggia dove sono nate per deporre le uova? Recentemente sono emerse nuove scoperte sul loro comportamento, per esempio sulla migrazione?
Sono sempre in corso studi di questo tipo. In effetti sono ancora molti i lati oscuri dell’ecologia delle Caretta caretta. Si sa che sono animali solitari, non vivono in gruppo; passano la maggior parte della vita nuotando finché, nella stagione della riproduzione, maschi e femmine si ritrovano in particolari luoghi deputati a questa attività. Non si conoscono le modalità di orientamento, ed è dunque incredibile che le femmine tornino a deporre le uova nella stessa spiaggia dove sono nate! Non è ancora noto il meccanismo tramite il quale le piccole tartarughine, che alla nascita non pesano più di 15 g, possano ricordarsi di quella particolare spiaggia e tornarci alla prima stagione riproduttiva, quando hanno ormai circa 30 anni e pesano 80 – 100 kg!
L’attività del vostro centro è affiancata da progetti di ricerca su questo animale. Quali sono i metodi di studio?
Il centro collabora con le Università di Roma, Bari, Bologna, Trieste, Catania, Messina e Pisa. I metodi di studio sono quelli classici: marcatura con targhette di metallo applicate alle zampe delle tartarughe. La ricattura o il ritrovamento degli animali danno indicazioni sulla “strada” che ha fatto l’animale nel tempo intercorso. Quando è possibile, con l’aiuto di qualche finanziamento fornito ad alcuni progetti di ricerca, è senz’altro da preferirsi il radiotracking: un trasmettitore sul dorso della tartaruga, via satellite, comunica momento per momento la sua posizione. È un metodo più costoso ma più efficiente. Le ricerche veterinarie svolte dall’Università di Bari, inoltre, consentono di intervenire in maniera sempre più appropriata sugli animali feriti. Esistono in Italia altri centri simili al nostro in Toscana, Campania, Calabria, Puglia, Sardegna. Il nostro però è il più attivo nel Mediterraneo. Per rendere l’idea, mentre in un anno nel Centro di Napoli vengono recuperate circa 40 tartarughe, da Lampedusa ne passano più di 350!
Sembra che la sottospecie del Mediterraneo sia più piccola e abbia sviluppato delle differenze genetiche rispetto alla sottospecie atlantica. La popolazione mediterranea è indipendente e isolata?
In realtà non esistono sottospecie di Caretta caretta, anche se in passato si riteneva di sì. I markers genetici evidenziano una differenza tra popolazioni mediterranee e popolazioni atlantiche. Si incontrano poco, ma talvolta ciò avviene nei pressi dello stretto di Gibilterra. Non si può escludere uno scambio genetico, quindi le popolazioni non sono nettamente separate.
Come viene considerato lo stato di conservazione della Caretta caretta? Cosa dice in merito la legislazione italiana?
Questa specie è inserita nell’appendice I della CITES, come tutte le specie animali e vegetali minacciate di estinzione, che sono oggetto, o potrebbero esserlo, di operazioni commerciali. In Italia è protetta dalla legge n. 156 del 9 giugno 1980. Per qualsiasi attività non autorizzata sulle tartarughe marine sono previste sanzioni molto severe che vanno da una multa di 20.000 euro a 3 anni di reclusione. L’uomo è il pericolo principale per le tartarughe marine, attraverso l’alterazione e la massiccia frequentazione degli ambienti costieri per scopi turistici ed economici.
Avete mai ritrovato e soccorso tartarughe di altre specie?
Solo tre volte: una volta è stata ritrovata una tartaruga liuto (Dermochelys coriacea), deceduta poche ore dopo ed ora imbalsamata e conservata al Museo civico di storia naturale a Comiso (RG). Un’altra volta un pescatore ha catturato una giovane tartaruga verde (Chelonia mydas) ferita, ma purtroppo anche lei è morta. Il terzo ritrovamento è stato quello quello di una Dermochelis a Ferragosto 2014. Il “cucciolo” di circa 200 kg ha potuto riprendere il mare qualche giorno dopo.
Il centro non si avvale di finanziamenti pubblici. Come mai e con quali risorse va avanti?
Non siamo ancora riusciti ad oggi a ottenere alcun finanziamento pubblico pur richiedendolo tutti gli anni sia al Comune di Lampedusa, sia alla regione Sicilia, sia alla Comunità Europea. Le nostre spese sono molte: i viaggi dei veterinari, gli studi scientifici, i costi della struttura. Nel laboratorio si trovano frigoriferi e lampade per la sala operatoria, le bollette sono alte. Servono medicinali in grande quantità, lastre per radiografie e altri materiali diagnostici. Inoltre gli animali vanno nutriti e il pesce costa! Per fortuna ogni anno ci possiamo avvalere, oltre che delle offerte dei privati, di circa un centinaio di volontari che lavorano duramente e gratis sotto il sole e che si ingegnano per pensare a mezzi di autofinanziamento. Poi ci sono le visite dei turisti e la vendita di qualche gadget. Molto spesso però attingiamo ai nostri stipendi.
Cosa si può fare per aiutare il centro?
Potrei chiedere di fare una donazione o di partecipare ai campi estivi di eco-volontariato, ma sarebbero soluzioni momentanee, anche se apprezzate e fondamentali. Ci serve invece qualcuno che smuova qualche finanziamento un po’ più grosso e magari continuativo. Alla comunità locale abbiamo già dato tanto in termini di immagine e rientro economico tramite l’aumento del turismo. Oggi Lampedusa viene chiamata “l’isola delle tartarughe” dai depliant delle agenzie turistiche. Sarebbe giunta l’ora di avere un ritorno.
Le persone che lavorano in questo centro non sono romantici naturalisti che si battono contro i mulini a vento. Salvando la tartaruga di mare si salva l’ecosistema marino, dal quale dipendono anche la nostra vita, la nostra salute e il nostro portafoglio. Molte persone dipendono, infatti, direttamente dalla pesca per il loro sostentamento.
La tartaruga caretta mangia le meduse. Un’eccessiva invasione di meduse dovuta alla scomparsa del suo predatore naturale porterebbe alla diminuzione della concentrazione di ossigeno nei nostri mari, con evidenti conseguenze sulla flora e fauna marine. E’ nell’integrazione fra le varie risorse che la natura ha evoluto che si trova il benessere comune.
Non sarebbe male una vacanza con le tartarughe!